Emozione

Giu 3, 2016

Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare (Seneca).

L’emozione può essere di varia natura. E’ qualcosa, che tutti noi sperimentiamo. Senza le emozioni la nostra vita sarebbe monotona, priva di senso, di spessore, di ricchezza, di gioia e di contato con altri. L’emozione è il sale della vita. Guai se non provassimo emozioni.

Per la teoria evoluzionistica, le emozioni sono considerate dei processi adattivi, che hanno permesso all’uomo di sopravvivere dal momento, che ha fatto la sua comparsa.

Le emozioni ci informano sui nostri bisogni, le nostre insoddisfazioni e i nostri diritti. Ci motivano a realizzare dei cambiamenti, ci permettono di superare situazioni difficili, di capire se siamo soddisfatti.

Prima l’emozione o la cognizione?

Una delle questioni su cui si è molto dibattuto e tuttora si discute, riguarda la causalità: sono le cognizioni a causare le emozioni o le emozioni a innescare le cognizioni?

A riprova della supremazia delle emozioni sulle cognizioni, oggi, i neuroscienziati sono concordi nel ritenere, che circa l’80% delle attività mentali, avviene al di sotto della coscienza. Infatti, alcuni stimoli sfuggono, inizialmente, alla nostra coscienza. Questo significa che sono elaborati in modo quasi istantaneo, in pochi millesimi di secondo, escludendo la nostra consapevolezza.

In altri termini, il timore nei confronti di stimoli nuovi o minacciosi avviene quasi automaticamente, senza una reale presa di coscienza. Solo in un secondo momento sopraggiunge la valutazione cognitiva.

Questo, perché le emozioni hanno origine nel paleoencefalo (la parte più antica del cervello) e la loro espressione non è mediata dal telencefalo, (la parte più moderna del cervello), ma si attiva come reazione autonoma, a prescindere dalla volontà cosciente.

Il paleoencefalo condiziona profondamente il nostro telencefalo, mentre non accade il contrario. In altri termini, sono le emozioni, che hanno un impatto sulla razionalità e non la nostra razionalità sull’emozione. Questo significa che il pensiero e la coscienza hanno ben poco potere sull’innesco e la regolazione delle emozioni. Anzi come dirò in seguito, è proprio quello, che poi determina il disagio mentale.

Questo meccanismo arcaico e ciò che ci salva la vita quando riusciamo a evitare di cadere o schivare un pericolo, ma è anche quello che ci fa perdere il controllo in un eccesso di rabbia o, che ci rende incapaci di resistere a un piacere, anche quando sappiamo che è non è un bene per noi.

In altri termini si potrebbe riassumere il tutto in questo modo: le emozioni sono fonte di piacere, che di sofferenza e guidano le nostre azioni più di qualsiasi ragionamento.

Una emozione come l’ansia, per esempio, ha una grande influenza sugli aspetti cognitivi. Infatti, può peggiorare, se è eccessiva la nostra concentrazione, o migliorare, la nostra prestazione.

Le emozioni, soprattutto quelle negative, sono particolarmente utili, dato che si attivano quando ci troviamo di fronte a un pericolo, una minaccia, ed è necessario reagire all’istante per mantenersi in vita.

Ci sono però molte persone che temono queste emozioni sentendosi sopraffatte e incapaci di gestirle. Il problema, per esempio, non sta tanto nel provarle, quanto piuttosto nella nostra capacità di riconoscerle, accettarle e saperle utilizzare.

La paura, come dicevo, è un’emozione universale, è una reazione normale e adattiva davanti a un evento minaccioso o pericoloso. La paura ci paralizza, ci porta a fuggire, a difenderci, ci fa gridare per allarmare i nostri simili della presenza di un pericolo. La rabbia è la reazione a un ostacolo, il dolore è la sensazione, che porta a allontanare la mano da qualcosa che scotta. Quindi, se riusciamo a gestirle in modo efficace, le emozioni diventano una risorsa importante per noi.

Ci sono dei casi, nella psicopatologia, in cui le persone si sentono impotenti nei confronti di emozioni molto intense, di paure che limitano la loro vita.

Quando non si riesce a gestire queste emozioni si possono mettere in atto una serie di comportamenti disfunzionali, che non solo mantengono il problema, ma lo peggiorano. Allora si possono sviluppare dipendenze, mangiare eccessivamente, soffrire di insonnia, dedicarsi alla sessualità compulsiva o prendersela con sé stesso (comportamento autolesionistico).

Quando compaiono ansia, paura, tristezza o rabbia, può capitare che una persona cerchi in qualche modo di combatterle, di sforzarsi di non essere triste, di calmarsi, ma è proprio questo modo di fare, che paradossalmente può intensificare la sofferenza o il disagio.

Evitare le situazioni che ci fanno paura, per esempio, non fa altro che mantenere o peggiorare il nostro timore. Sforzarsi di “non pensare a ciò che fa paura” porta a pensare di più allo stimolo temuto.

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