Hikikomori

Mag 15, 2017

Hikikomori

Perché i giovani possono scegliere di isolarsi dal resto del mondo?

Hikikomori è un termine coniato alla fine del secolo scorso (1998) dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito. Questo termine definisce una particolare condizione psicologica molto diffusa in Giappone, caratterizzata dal ritiro sociale.

Infatti, il termine hikikomori letteralmente significa stare da solo, stare in disparte, andare via. Tale condizione porta adolescenti e giovani adulti a ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi. Rinchiudendosi nelle mura della propria stanza, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno. Questi adolescenti disinvestono la scuola, le relazioni, la crescita e la speranza nel futuro.

L’Hikikomori è caratterizzato da ritiro ed evitamento sociale per almeno sei mesi. Gli altri sintomi correlati sono:

  • fobia scolastica e abbandono scolastico;
  • apatia;
  • sintomi ossessivi compulsivi;
  • inversione del ritmo sonno veglia: dormono di giorno e vivono la notte;
  • depressione e pensieri di morte che raramente sono messi in atto;
  • comportamento violento in famiglia, in particolare verso la madre.
  • Il segno caratteristico è la autosegregazione nella propria camera di un soggetto che non mostra segnali evidenti di disagio psicologico o malattia mentale. Questi adolescenti e giovani adulti evitano le occasioni che portano a un contatto visivo diretto, ad esempio luoghi dove ci si può salutare, bar, parrucchieri e così via.

L’interesse scientifico per questo fenomeno molto complesso ha valicato l’Oriente per approdare anche in Italia, dove si sono riconosciuti i primi casi. L’hikikomori, infatti, non è più una questione prettamente giapponese.

I ritirati sociali italiani non vivono un isolamento totale, ma si concedono di passare del tempo con i propri familiari, solitamente, durante i pasti e con qualche amico.

In Giappone tale fenomeno è vissuto come condizione da nascondere, mentre qui da noi ciò non avviene. Sono sempre più frequenti i genitori che preoccupati per l’indifferenza e la perdita di interesse, verso ogni attività, chiedono aiuto.

Sostanziali sono anche le differenze che spingono i ragazzi nipponici a emarginarsi rispetto a quelli italiani, i primi scappano da norme troppo rigide, dall’incapacità di gestire la propria rabbia, i nostri ragazzi fuggono invece dall’incapacità di gestire relazioni di gruppo.

L’hikikomoro relega i contatti con gli altri al mondo virtuale. Le uniche attività a destare interesse in loro sono il navigare in internet, la lettura dei famosi fumetti manga, la scrittura, la pittura e la creatività. Sono ragazzi, intelligenti e molto creativi, ma introversi. La ragione della loro autoreclusione è frutto di considerevoli pressioni sociali e fattori personali di varia natura. Decisivo è il divario tra quello che si è e quello che la società impone.

L’hikikomoro, è bene sapere, è una condizione psicologica che non coincide affatto con la dipendenza da internet. Infatti l’associazione fra un uso eccessivo della rete e ritiro sociale non è automatico, visto che molti adolescenti ritirati sociali si recludono senza usare il computer.

Il trattamento psicologico

L’alleanza terapeutica è forse l’elemento più importante quando abbiamo a che dare con un adolescente ritirato. L’ascolto empatico, l’alleanza con il sintomo. Capire che questa scelta è un modo di difendersi psichicamente e fisicamente da un dolore troppo forte, che non consente il confronto con il mondo esterno. Quindi, questa soluzione difensiva non va attaccata o criticata, perché si potrebbe in questo modo peggiorare la situazione, ma il sintomo va accettato. Solo in questo modo è più facile avvicinarlo per scoprire nuove risorse utili all’apertura verso il mondo esterno.

Devo fargli capire che con me può parlare tranquillamente: “Hai un disagio, ma ho fiducia nelle tue risorse”. Quindi per prima cosa bisogna essere vicini, empatici. Questo è estremamente importante, perché le persone sanno che tu ci sei, sei lì per loro, e possono aprirsi, fidarsi di te, perché tu ci sei.

Una volta fatto questo, abbiamo costruito una base, per avvicinare la persona. Devo dimostrare che non sono lì per giudicare, ma capisco. Lo capisco siamo entrati in sintonia. Se abbiamo fatto bene questo, siamo sicuramente a metà dell’opera.

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