L’obesità è una malattia complessa, che sta assumendo proporzioni sempre maggiori, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ha definita come una epidemia globale.
Gli obesi, infatti, oltre ad andare incontro a maggiori complicazioni mediche, sono anche più a rischio di sviluppare disagio psicologico. Quest’ultimo è dovuto come conseguenza della stigmatizzazione sociale, che rende le persone obese oggetto di pregiudizi negativi, derisione, svalutazione ed emarginazione.
L’obesità, quasi sempre si accompagna disagio emotivo: bassa autostima, scarsa percezione dell’immagine corporea. Il senso di colpa marca fortemente e accomuna l’esperienza dei pazienti obes,i che si sentono in colpa perché cedono, perché mangiano, perché non riescono a controllare le proprie abitudini alimentari e perdere peso.
Perché non ci si occupa abbastanza dell’obesità?
Il motivo principale deriva dal fatto, che è circondata ancora da tanti pregiudizi. Sono in molti, che la considerano ancora una condizione autoimposta. E’ che la soluzione è a portata di mano: basterebbe mangiare meno e muoversi di più. La nostra società fabbrica sempre più obesi, ma li tollera male (De Cristoforo, 2002).
La perdita di peso non è un traguardo definitivo: raggiunto il peso da mantenere il rischio di recuperarlo è molto elevato, soprattutto nei primi 4 anni successivi.
Quindi, secondo questo modo di vedere, gli individui obesi possono controllare pienamente il proprio peso corporeo, attraverso scelte comportamentali appropriate. In breve: la persona obesa è vittima di pregiudizi legati allo scarso controllo nel mangiare, alla pigrizia e alla sua scarsa volontà.
Il trattamento
Pensare al trattamento dell’obesità solo in termini di mangiare meno e di attività fisica è andare fuori strada. Esistono diverse variabili, che con ruoli diversi concorrono nella genesi e nel mantenimento dell’obesità. I principali fattori sono: biologici, culturali, economici, psicologici e comportamentalio, nutrizionali e sociali.
L’approccio psicologico è fondamentale per aiutare a migliorare il cambiamento dello stile di vita delle persone. Perchè la gestione dell’obesità non può concentrarsi solo sulla riduzione del peso. Inoltre, il dividere gli alimenti in “cibi buoni” e “cibi cattivi” non è funzionale all’approccio psicologico, perché può solo scoraggiare le persone e portarle ad abbandonare il trattamento.
Quello che voglio sottolineare in questo piccolo scritto è che il cibo, oltre a soddisfare un bisogno primario, veicola tanti altri significati. Questo significa, che le persone obese non mangiano tutti per lo stesso motivo e non tutti mangiano allo stesso modo. Spesso l’iperalimentazione è legata a particolare stati emotivi o a specifiche situazioni, che la persona a difficoltà a gestire.
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